giovedì 28 gennaio 2010
IL NUOVO PROCEDIMENTO DISCIPLINARE NEL PUBBLIGO IMPIEGO
09:17 |
Pubblicato da
Giangiacomo Magni |
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La presente disamina si propone di analizzare i nuovi tratti del procedimento disciplinare nel pubblico impiego così come ridisegnati alla luce della legge delega n. 15/2009 e del successivo d.lgs. n. 150/2009 di attuazione.
Prima di procedere all'esame delle disposizioni che si ritengono maggiormente significative, sembra necessario dare atto di come l'intervento in materia disciplinare si ponga in perfetta sintonia con la ratio della legge delega rivolta ad operare una sostanziale rivisitazione della struttura portante del processo sulla c.d. “privatizzazione” del rapporto di pubblico impiego in Italia inaugurato con il D.lgs. 29/1993 e consacrato con il d.lgs. 165/2001. In tale prospettiva l’art. 1 riassume in sé i cardini delle innovazioni modificando radicalmente il precedente assetto sulle fonti, di cui vi è specifico contenuto nell’art.2, comma 2, del D.Lgs. n. 165/01.
Com’è noto, quest’ultima norma disponeva un’espressa potenzialità, a favore dello strumento della contrattazione collettiva, di derogare eventuali disposizioni di legge, di regolamenti e/o di statuti non in sintonia con le regole dettate dalla contrattazione collettiva stessa. In altri termini, la centrale disposizione di cui all’art. 2, fulcro del richiamato D.Lgs. n. 165/01, legittimava ampiamente lo strumento della negoziazione collettiva ad un’operazione di vera e propria espunzione di normative non compatibili con essa. L’attuale modifica, invece, pur disponendo sempre sulla possibilità di deroga da parte della contrattazione collettiva, stabilisce perentoriamente, però, che ciò sia possibile solo quando espressamente previsto dalla legge, invertendosi per tal via i termini enunciati.
È di tutta evidenza che la modifica in questione abbia finito con lo scardinare uno dei pilastri dello stesso D.Lgs. n. 165/01, intervenendo su un punto centrale riguardo alla struttura dei rapporti di lavoro.
Si tratta di ripristinare, quindi, il tradizionale rapporto tra legge e contratto, subordinando quest’ultimo alla legge e circoscrivendone la portata ed il grado di autonomia.
L'obiettivo dichiarato è quello del conseguimento dell'efficienza e della ottimizzazione della pubblica amministrazione, obiettivo il cui conseguimento passa anche attraverso la complessiva riscrittura della materia disciplinare concepita ai sensi dell'art. 67 d.lgs 150/2009 come mezzo di controllo dei risultati della performance individuale del dipendente.
In tale prospettiva la complessiva riforma del procedimento disciplinare contenuta nell'art. 7 della legge 15/2009 ed attuata dagli artt. 68 e ss del d.lgs 150/2009 emblematicamente espropria il potere della contrattazione collettiva di intervenire sulla materia disciplinare, stravolgendo l'impostazione contenuta nel d.lgs 165/2001.
Non è certo un caso che il sopra citato art. 68 sostituisca per intero l'art. 55 d.lgs. 165/2001 statuendo che le disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti costituiscono norme imperative ai sensi e per gli effetti degli art. 1339 e 1419, comma 2 c.c. e si applicano ai rapporti di lavoro di cui al comma 2, comma 2 alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2. In particolare deve essere stigmatizzato che sebbene il nuovo testo dell'art. 68, comma 2 sembri devolvere alla contrattazione collettiva l'individuazione delle tipologie di infrazioni e delle relative sanzioni, invero la riserva legale ivi contenuta è destinata a risultare sicuramente pregnante.
Peraltro è lo stesso art. 68 che al comma 3 prevede come la contrattazione collettiva non possa istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari salvo la possibilità di prevedere forme di conciliazione non obbligatoria fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione del licenziamento.
Si precisa per completezza come il citato art. 68 riservi un trattamento diversificato per i dirigenti giacché “per le infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi degli articoli 55-bis, comma 7, e 55 sexies, comma 3, si applicano, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni di cui al comma 4 del predetto articolo 55-bis, ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente generale o titolare di incarico conferito ai sensi dell'articolo 19, comma 3.». In sostanza per le infrazioni identificate nella predetta disposizione rimane salva la possibilità per i CCNL di prevedere forme di conciliazione in deroga al procedimento previsto dall'art. 55 bis comma 4.
L'art. 69 d.lgs. 150/2009 introducendo dopo l'art. 55 d.lgs 165/2001 gli art. 55 bis, 55 ter, 55 quater, 55 quinquies, 55 sexies, 55 septies riscrive i profili sostanziali e procedurali della materia disciplinare.
Volendo operare una sintesi si può rilevare come il legislatore delegato abbia operato una prima distinzione tra sanzioni lievissime, il rimprovero verbale, ed infrazioni di minore gravita', per le quali e' prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni, attribuendo la competenza dell'intero procedimento al responsabile della struttura presso il quale il dipendente risulta assegnato ove detto responsabile abbia qualifica dirigenziale.
Per le sanzioni più gravi rispetto a quelle sopra individuate, ovvero sempre nei casi in cui il responsabile della struttura non abbia qualifica dirigenziale, la competenza risulta attribuita all'Ufficio per i procedimenti disciplinari che viene individuato da ciascuna amministrazione secondo il proprio ordinamento.
Tralasciando in questa sede la pedissequa disciplina procedurale descritta dal nuovo art 55 bis ai commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 sembra interessante sottolineare la disposizione del successivo comma 7 ove il legislatore delegato impone a chiare lettere un dovere di fattiva collaborazione a carico dei dipendenti e dei dirigenti nell'ambito del procedimento disciplinare. Ivi si dispone infatti che ove il lavoratore o il dirigente appartenente alla medesima amministrazione dell'incolpato o ad una diversa che per esigenze di servizio o di ufficio sia a conoscenza di informazioni rilevanti per la definizione del procedimento disciplinare si rifiuti senza motivo di fornire la collaborazione richiesta dall'autorità procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti è soggetto all'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino ad un massimo di quindici giorni.
Interessante è inoltre la disposizione del comma a del medesimo art. 55 bis ove si statuisce che anche in caso di dimissioni, se per l'infrazione commessa è prevista la sanzione del licenziamento o se comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare abbia egualmente corso e che le determinazioni conclusive sono assunte a fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Proseguendo nell'analisi delle nuove disposizioni normative introdotte dal legislatore delegato sembra opportuno rilevare come la nuova disciplina abbia fatto salve le norme già previste dalla contrattazione collettiva in tema di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo e tuttavia, in una prospettiva disciplinare più severa, stabilisce il nuovo art. 55 quater (intitolato licenziamento disciplinare) che si applichi comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:
a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;
b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per piu' di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione;
c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall'amministrazione per motivate esigenze di servizio;
falsita' documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;
e) reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignita' personale altrui;
f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale e' prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l'estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.
Di particolare rilievo appare la disposizione del secondo comma dell'art. 55 quater che nella prospettiva di garantire e conferire effettività all'obiettivo dell'efficienza e della ottimizzazione della pubblica amministrazione tipicizza una ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo stabilendo che : “Il licenziamento in sede disciplinare e' disposto, altresi', nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l'amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo e' dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54.
Chiarisce, poi, il comma 3 art. 55 quater che nei casi di cui al comma 1, lettere a), d), e) ed f), il licenziamento e' senza preavviso.
Di particolare interesse risulta inoltre la disciplina del nuovo art. 55 quinquies che dimostra lo scrupolo del legislatore di intervenire sul fenomeno delle assenze del dipendente pubblico. Ivi si dispone che fatto salvo quanto previsto dal codice penale, “il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia e' punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.”
Per quanto concerne il rapporto lavorativo si prevede al successivo comma 2 che : “nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilita' penale e disciplinare e le relative sanzioni, e' obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonche' il danno all'immagine subiti dall'amministrazione.
Infine il comma 3 art. 55 quinquies stabilisce che: La sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di cui al comma 1 comporta, per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo ed altresi', se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione. Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all'assenza dal servizio, rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati ne' oggettivamente documentati.
Il nuovo art. 55 sexies si occupa poi della “Responsabilita' disciplinare per condotte pregiudizievoli per l'amministrazione e della limitazione della responsabilita' per l'esercizio dell'azione disciplinare Al comma 1 si stabilisce che la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54, comporta l'applicazione nei suoi confronti, ove gia' non ricorrano i presupposti per l'applicazione di un'altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in proporzione all'entita' del risarcimento.
Di particolare interesse la disposizione del comma 2 dove si prevede che fuori dei casi previsti nel comma 1, il lavoratore, quando cagiona grave danno al normale funzionamento dell'ufficio di appartenenza, per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall'amministrazione ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, e' collocato in disponibilita', all'esito del procedimento disciplinare che accerta tale responsabilita', e si applicano nei suoi confronti le disposizioni di cui all'articolo 33, comma 8, e all'articolo 34, commi 1, 2, 3 e 4. Il provvedimento che definisce il giudizio disciplinare stabilisce le mansioni e la qualifica per le quali puo' avvenire l'eventuale ricollocamento. Durante il periodo nel quale e' collocato in disponibilita', il lavoratore non ha diritto di percepire aumenti retributivi sopravvenuti.
In sostanza la norma sembra prevedere la possibilità che il provvedimento disciplinare nelle ipotesi sopra descritte possa concludersi con la messa in disponibilità del lavoratore con diritto alla percezione di un'indennità pari all'80 per cento dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi. Ove non sia possibile il ricollocamento, il richiamo all'art. 34, comma 4 d.lgs. 165/2001, sembrerebbe poter determinare la risoluzione del rapporto di lavoro.
I commi 3 e 4 art. 55 sexies disciplinano le ipotesi di mancato esercizio e della la decadenza dell'azione disciplinare sancite dall'art. 55 bis che risultino dovute all'omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare ovvero a valutazioni sull'insussistenza dell'illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare. Tali condotte comportano, per i soggetti responsabili aventi qualifica dirigenziale, l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravita' dell'infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, ed altresi' la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione. Ai soggetti non aventi qualifica dirigenziale si applica la predetta sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo. Il comma 4 disciplina la limitazione della responsabilità civile eventualmente configurabile a carico del dirigente in relazione a profili di illiceita' nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del procedimento disciplinare che risulta sussistente , in conformita' ai principi generali, nei casi di dolo o colpa grave.
Sembra infine necessario dare conto del nuovo art. 55 ter che disciplina e rimodula il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale. Il nuovo principio enunciato nel comma 1 è che il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorita' giudiziaria, e' proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravita', di cui all'articolo 55-bis, comma 1, primo periodo, non e' ammessa la sospensione del procedimento.
Solo per le infrazioni di maggiore gravita', di cui all'articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, l'ufficio competente, nei casi di particolare complessita' dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, puo' sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilita' di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente.
Nella citata impostazione di maggior rigore della materia disciplianare il comma 2 stabilisce che se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l'autorita' competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilita' della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione all'esito del giudizio penale. Sarà dunque onere del lavoratore mandato assolto agire tempestivamente per ottenere una modifica delle sanzioni disciplinari eventualmente adottate dalla amministrazione.
Diversamente se il procedimento disciplinare si conclude con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l'autorita' competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare e' riaperto, altresi', se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne e' stata applicata una diversa.
Il comma 4 si occupa di questioni procedurali stabilendo che nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare e', rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla presentazione dell'istanza di riapertura ed e' concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura.
La ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell'addebito da parte dell'autorita' disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell'articolo 55-bis. Ai fini delle determinazioni conclusive, l'autorita' procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell'art 653 commi 1 ed 1-bis, del codice di procedura penale che si occupa dell'efficacia della sentenza penale nel procedimento disciplinare.
Dott. Giangiacomo Magni RETELEGALE PISA
Prima di procedere all'esame delle disposizioni che si ritengono maggiormente significative, sembra necessario dare atto di come l'intervento in materia disciplinare si ponga in perfetta sintonia con la ratio della legge delega rivolta ad operare una sostanziale rivisitazione della struttura portante del processo sulla c.d. “privatizzazione” del rapporto di pubblico impiego in Italia inaugurato con il D.lgs. 29/1993 e consacrato con il d.lgs. 165/2001. In tale prospettiva l’art. 1 riassume in sé i cardini delle innovazioni modificando radicalmente il precedente assetto sulle fonti, di cui vi è specifico contenuto nell’art.2, comma 2, del D.Lgs. n. 165/01.
Com’è noto, quest’ultima norma disponeva un’espressa potenzialità, a favore dello strumento della contrattazione collettiva, di derogare eventuali disposizioni di legge, di regolamenti e/o di statuti non in sintonia con le regole dettate dalla contrattazione collettiva stessa. In altri termini, la centrale disposizione di cui all’art. 2, fulcro del richiamato D.Lgs. n. 165/01, legittimava ampiamente lo strumento della negoziazione collettiva ad un’operazione di vera e propria espunzione di normative non compatibili con essa. L’attuale modifica, invece, pur disponendo sempre sulla possibilità di deroga da parte della contrattazione collettiva, stabilisce perentoriamente, però, che ciò sia possibile solo quando espressamente previsto dalla legge, invertendosi per tal via i termini enunciati.
È di tutta evidenza che la modifica in questione abbia finito con lo scardinare uno dei pilastri dello stesso D.Lgs. n. 165/01, intervenendo su un punto centrale riguardo alla struttura dei rapporti di lavoro.
Si tratta di ripristinare, quindi, il tradizionale rapporto tra legge e contratto, subordinando quest’ultimo alla legge e circoscrivendone la portata ed il grado di autonomia.
L'obiettivo dichiarato è quello del conseguimento dell'efficienza e della ottimizzazione della pubblica amministrazione, obiettivo il cui conseguimento passa anche attraverso la complessiva riscrittura della materia disciplinare concepita ai sensi dell'art. 67 d.lgs 150/2009 come mezzo di controllo dei risultati della performance individuale del dipendente.
In tale prospettiva la complessiva riforma del procedimento disciplinare contenuta nell'art. 7 della legge 15/2009 ed attuata dagli artt. 68 e ss del d.lgs 150/2009 emblematicamente espropria il potere della contrattazione collettiva di intervenire sulla materia disciplinare, stravolgendo l'impostazione contenuta nel d.lgs 165/2001.
Non è certo un caso che il sopra citato art. 68 sostituisca per intero l'art. 55 d.lgs. 165/2001 statuendo che le disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti costituiscono norme imperative ai sensi e per gli effetti degli art. 1339 e 1419, comma 2 c.c. e si applicano ai rapporti di lavoro di cui al comma 2, comma 2 alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2. In particolare deve essere stigmatizzato che sebbene il nuovo testo dell'art. 68, comma 2 sembri devolvere alla contrattazione collettiva l'individuazione delle tipologie di infrazioni e delle relative sanzioni, invero la riserva legale ivi contenuta è destinata a risultare sicuramente pregnante.
Peraltro è lo stesso art. 68 che al comma 3 prevede come la contrattazione collettiva non possa istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari salvo la possibilità di prevedere forme di conciliazione non obbligatoria fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione del licenziamento.
Si precisa per completezza come il citato art. 68 riservi un trattamento diversificato per i dirigenti giacché “per le infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi degli articoli 55-bis, comma 7, e 55 sexies, comma 3, si applicano, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni di cui al comma 4 del predetto articolo 55-bis, ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente generale o titolare di incarico conferito ai sensi dell'articolo 19, comma 3.». In sostanza per le infrazioni identificate nella predetta disposizione rimane salva la possibilità per i CCNL di prevedere forme di conciliazione in deroga al procedimento previsto dall'art. 55 bis comma 4.
L'art. 69 d.lgs. 150/2009 introducendo dopo l'art. 55 d.lgs 165/2001 gli art. 55 bis, 55 ter, 55 quater, 55 quinquies, 55 sexies, 55 septies riscrive i profili sostanziali e procedurali della materia disciplinare.
Volendo operare una sintesi si può rilevare come il legislatore delegato abbia operato una prima distinzione tra sanzioni lievissime, il rimprovero verbale, ed infrazioni di minore gravita', per le quali e' prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni, attribuendo la competenza dell'intero procedimento al responsabile della struttura presso il quale il dipendente risulta assegnato ove detto responsabile abbia qualifica dirigenziale.
Per le sanzioni più gravi rispetto a quelle sopra individuate, ovvero sempre nei casi in cui il responsabile della struttura non abbia qualifica dirigenziale, la competenza risulta attribuita all'Ufficio per i procedimenti disciplinari che viene individuato da ciascuna amministrazione secondo il proprio ordinamento.
Tralasciando in questa sede la pedissequa disciplina procedurale descritta dal nuovo art 55 bis ai commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 sembra interessante sottolineare la disposizione del successivo comma 7 ove il legislatore delegato impone a chiare lettere un dovere di fattiva collaborazione a carico dei dipendenti e dei dirigenti nell'ambito del procedimento disciplinare. Ivi si dispone infatti che ove il lavoratore o il dirigente appartenente alla medesima amministrazione dell'incolpato o ad una diversa che per esigenze di servizio o di ufficio sia a conoscenza di informazioni rilevanti per la definizione del procedimento disciplinare si rifiuti senza motivo di fornire la collaborazione richiesta dall'autorità procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti è soggetto all'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino ad un massimo di quindici giorni.
Interessante è inoltre la disposizione del comma a del medesimo art. 55 bis ove si statuisce che anche in caso di dimissioni, se per l'infrazione commessa è prevista la sanzione del licenziamento o se comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare abbia egualmente corso e che le determinazioni conclusive sono assunte a fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Proseguendo nell'analisi delle nuove disposizioni normative introdotte dal legislatore delegato sembra opportuno rilevare come la nuova disciplina abbia fatto salve le norme già previste dalla contrattazione collettiva in tema di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo e tuttavia, in una prospettiva disciplinare più severa, stabilisce il nuovo art. 55 quater (intitolato licenziamento disciplinare) che si applichi comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:
a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;
b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per piu' di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione;
c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall'amministrazione per motivate esigenze di servizio;
falsita' documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;
e) reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignita' personale altrui;
f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale e' prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l'estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.
Di particolare rilievo appare la disposizione del secondo comma dell'art. 55 quater che nella prospettiva di garantire e conferire effettività all'obiettivo dell'efficienza e della ottimizzazione della pubblica amministrazione tipicizza una ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo stabilendo che : “Il licenziamento in sede disciplinare e' disposto, altresi', nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l'amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo e' dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54.
Chiarisce, poi, il comma 3 art. 55 quater che nei casi di cui al comma 1, lettere a), d), e) ed f), il licenziamento e' senza preavviso.
Di particolare interesse risulta inoltre la disciplina del nuovo art. 55 quinquies che dimostra lo scrupolo del legislatore di intervenire sul fenomeno delle assenze del dipendente pubblico. Ivi si dispone che fatto salvo quanto previsto dal codice penale, “il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia e' punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.”
Per quanto concerne il rapporto lavorativo si prevede al successivo comma 2 che : “nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilita' penale e disciplinare e le relative sanzioni, e' obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonche' il danno all'immagine subiti dall'amministrazione.
Infine il comma 3 art. 55 quinquies stabilisce che: La sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di cui al comma 1 comporta, per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo ed altresi', se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione. Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all'assenza dal servizio, rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati ne' oggettivamente documentati.
Il nuovo art. 55 sexies si occupa poi della “Responsabilita' disciplinare per condotte pregiudizievoli per l'amministrazione e della limitazione della responsabilita' per l'esercizio dell'azione disciplinare Al comma 1 si stabilisce che la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54, comporta l'applicazione nei suoi confronti, ove gia' non ricorrano i presupposti per l'applicazione di un'altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in proporzione all'entita' del risarcimento.
Di particolare interesse la disposizione del comma 2 dove si prevede che fuori dei casi previsti nel comma 1, il lavoratore, quando cagiona grave danno al normale funzionamento dell'ufficio di appartenenza, per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall'amministrazione ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, e' collocato in disponibilita', all'esito del procedimento disciplinare che accerta tale responsabilita', e si applicano nei suoi confronti le disposizioni di cui all'articolo 33, comma 8, e all'articolo 34, commi 1, 2, 3 e 4. Il provvedimento che definisce il giudizio disciplinare stabilisce le mansioni e la qualifica per le quali puo' avvenire l'eventuale ricollocamento. Durante il periodo nel quale e' collocato in disponibilita', il lavoratore non ha diritto di percepire aumenti retributivi sopravvenuti.
In sostanza la norma sembra prevedere la possibilità che il provvedimento disciplinare nelle ipotesi sopra descritte possa concludersi con la messa in disponibilità del lavoratore con diritto alla percezione di un'indennità pari all'80 per cento dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi. Ove non sia possibile il ricollocamento, il richiamo all'art. 34, comma 4 d.lgs. 165/2001, sembrerebbe poter determinare la risoluzione del rapporto di lavoro.
I commi 3 e 4 art. 55 sexies disciplinano le ipotesi di mancato esercizio e della la decadenza dell'azione disciplinare sancite dall'art. 55 bis che risultino dovute all'omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare ovvero a valutazioni sull'insussistenza dell'illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare. Tali condotte comportano, per i soggetti responsabili aventi qualifica dirigenziale, l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravita' dell'infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, ed altresi' la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione. Ai soggetti non aventi qualifica dirigenziale si applica la predetta sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo. Il comma 4 disciplina la limitazione della responsabilità civile eventualmente configurabile a carico del dirigente in relazione a profili di illiceita' nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del procedimento disciplinare che risulta sussistente , in conformita' ai principi generali, nei casi di dolo o colpa grave.
Sembra infine necessario dare conto del nuovo art. 55 ter che disciplina e rimodula il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale. Il nuovo principio enunciato nel comma 1 è che il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorita' giudiziaria, e' proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravita', di cui all'articolo 55-bis, comma 1, primo periodo, non e' ammessa la sospensione del procedimento.
Solo per le infrazioni di maggiore gravita', di cui all'articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, l'ufficio competente, nei casi di particolare complessita' dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, puo' sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilita' di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente.
Nella citata impostazione di maggior rigore della materia disciplianare il comma 2 stabilisce che se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l'autorita' competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilita' della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione all'esito del giudizio penale. Sarà dunque onere del lavoratore mandato assolto agire tempestivamente per ottenere una modifica delle sanzioni disciplinari eventualmente adottate dalla amministrazione.
Diversamente se il procedimento disciplinare si conclude con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l'autorita' competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare e' riaperto, altresi', se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne e' stata applicata una diversa.
Il comma 4 si occupa di questioni procedurali stabilendo che nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare e', rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla presentazione dell'istanza di riapertura ed e' concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura.
La ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell'addebito da parte dell'autorita' disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell'articolo 55-bis. Ai fini delle determinazioni conclusive, l'autorita' procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell'art 653 commi 1 ed 1-bis, del codice di procedura penale che si occupa dell'efficacia della sentenza penale nel procedimento disciplinare.
Dott. Giangiacomo Magni RETELEGALE PISA
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